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Debora Petrina

Debora Petrina
9 Aprile 2009 Rocco Rossitto

Quando ero piccola, a scuola, restavo male se un’insegnante mi chiamava così, sentivo un distacco, una freddezza. Quel “così” indica il suo cognome, Petrina, che ora è diventato un nome d’arte. In Doma, il suo primo disco, è infati firmato solamente Petrina. Ma come sempre, Italica!, presenta gli artisti e non i dischi in uscita…
Poi invece- continua – il mio cognome ha assunto significati importanti per me, sia per vicende familiari, in particolare la morte di mio padre, sia per le scoperte relative alla sua diffusione.
Ho scoperto ad esempio che è un cognome molto diffuso a Catania, e come toponimico e nome proprio è presente anche in Ungheria (il protagonista, cattivo, di un bellissimo film di Béla Tarr, che dura 6 ore, si chiama proprio così). E infine l’America, che di Petrina emigranti ne ha ospitati parecchi. Insomma tre luoghi speciali: Catania, da dove molto probabilmente arrivò mio bisnonno, l’Ungheria, dove ho vissuto una parte importante della mia vita, e l’America, dove ho suonato le mie canzoni, dove ho conosciuto tante persone speciali, e dove spero di tornare!

Che suoni?
Sono una cantante, pianista e tastierista. Scrivo, compongo, arrangio, sono one (wo)man band, anche se preferisco suonare e confrontarmi con altri musicisti. La mia formazione prima, dall’infanzia, è di pianista. Pianista classica che ammattiva sul Mikrokosmos di Béla Bartók, e che ascoltava gli Who e ballava i Led Zeppelin. Crescendo ho ampliato gli strumenti: la voce prima di tutto, e tante tante tastiere, da quelle elettroniche a quelle giocattolo. E poi sempre il pianoforte, suonato dentro e fuori, per la gioia degli accordatori…

Età?
Non si dice!

Da quanto suoni?
Suono dall’età di 9 anni. Mi ricordo la prima esibizione pubblica, a quell’età, che in realtà era un esame di ammissione al Conservatorio: ricordo una valigietta di vimini piena di spartiti, e un gran pezzo di cioccolata che mia madre mi diede alla fine dell’esame!

Quanti dischi all’attivo.
Questo è il mio primo disco come autrice e compositrice, Come interprete di musica contemporanea ne ho un altro, registrato negli States. Ma ho tanta e tanta musica all’attivo, da registrare, e tantissima voglia di produrre altri dischi!

Quanta gente al primo concerto e dove.
Questa è davvero una domanda difficile. Sono diventata cantautrice e compositrice (da pianista che ero) non tutto ad un tratto, ma per gradi intermedi. Credo che la fase di passaggio decisiva sia stata un concerto dal vivo su RaiRadio3, un programma chiamato La Stanza della Musica, condotto da Franco Fabbri. Lì avevo preparato un medley di musiche altrui e mie, in cui inframmezzavo delle parti vocali. Il programma era in prima serata, ed io, da sola nello studio di Milano, avevo l’impressione di avere tante orecchie che mi ascoltavano nascoste dietro i muri. Una sensazione che mi dava tranquillità, in certo senso mi sentivo protetta dalla radio.

Come nascono le tue canzoni?
Le mie canzoni nascono a casa, come dice il titolo del mio album (In Doma). Ma per l’appunto, indomite, con un gran senso di irrequietezza, tutt’altro che casalingo. A casa ci sono i miei strumenti, ma le idee spesso si sviluppano lontano dai tasti. Meglio se correndo in bici, o camminando per strada.

Nascono prima i testi o la musica.
Questa è una questione che non mi sono mai posta, anche se vedo che è una curiosità che tutti hanno. A volte un testo lasciato là da anni, decide di diventare una canzone, e allora si lima, si pialla, si converte in musica ciò che all’inizio non lo era. A volte invece (sempre in bici magari) mi viene una frase su una melodia, già appiccicata. E allora ci costruisco il resto della canzone attorno.
Ma non ho un metodo né una ricetta. Anzi, forse le cose migliori mi arrivano nel dormiveglia, ma allora non ho la forza di alzarmi e di fissarle…

Campi di musica?
Campare di musica vorrebbe dire essere Gino Paoli. E soprattutto oggi, in Italia, è una delle utopie più irraggiungibili, non in termini artistici, perché di musicisti bravi ce ne sono, e parecchi, ma in termini di investimento economico nella musica, ultima ruota del carro nel nostro bel paese. Io ho la fortuna di fare un lavoro vicino alla musica, ovvero la insegno. Cerco di farlo nel modo più creativo possibile, svincolandomi dagli schemi a volte aridi in cui io stessa mi sono sentita incastrata, negli anni di studio.

Il disco che ti sarebbe piaciuto fare?
I dischi che amo sono tanti, e se ne aggiungono sempre di nuovi. Ora sto riascoltando i Traffic, ad esempio, che sentivo da piccola, Mi continuano ad emozionare gli ascolti di allora, gli Who, i Led Zeppelin, Jimi Hendrix, Jim Morrison, i Cream, ma non mi piacerebbe fare un disco di quel tipo, ora.
Amo l’individualità musicale, l’originalità, ciò che contraddistingue solo e soltanto un musicista, come la sua faccia. Dunque il disco che mi sarebbe piaciuto fare è proprio il mio, quello che sta uscendo, mentre quello che mi piacerebbe fare è il prossimo, a cui sto già pensando.

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