Dalle vetrate dell’imbarco, in ritorno, si intravedono delle braccia alzate. Scure. E’ il Cpt che si vede. Si aprono le porte, è il momento di salire sull’Atr che da Lampedusa porta a Catania. E’ l’ora di pranzo e bastano una quindicina di passi per raggiungere la scaletta dell’aereo. Poco lontano il recinto coperto di telaverde. I buchi e le mani alzate. Sono quelle dei “clandestini” sbarcati il giorno prima (il 14 marzo, ndr).

Sono arrivati in circa 200 e qui a Lampedusa l’abbiamo saputo solo dal tg. Oppure, se fuori dagli orari classici si sente il rumore di un’aereo partire quello è il segno che i “clandestini” stanno partendo. E qui, quasi tutti, a quel suono, esclamano: “i turchi si portano”. Già, “i turchi”, i “clandestini”, sono lì tra quelle baracche di plexigas a sbracciarsi. Sopra il recinto i panni stesi ad asciugare sotto un sole caldo di metà marzo. Non sembra grande il Cpt, nè a vederlo dall’alto nè dal basso. C’è il motore di un condizionatore d’area e una parabola su un tetto di un edificio all’interno del Cpt. Prabilmente sono lì per le stanze di chi gestisce e controlla la sicurezza del centro.

Il centro, sembra proprio un lagher, sia dall’alto che dal basso.
Ieri, domenica 19, al mio rientro qui a Lampedusa quelle bracce non ci sono più. Dall’alto non si vedono, e mentre scendo dalle scalette getto lo sguardo su quel recinto coperto da un telone verde, quelle braccia non ci sono più. C’è qualcuno però, è un’immagine sfumata. Forse, da giovedì a domenica se li saranno “portati i turchi”.