Il paradosso dei paradossi: più comunicazione = meno comprensione?


Ho scritto così un breve passaggio sul senso della parola scritta e sul paradosso che viviamo oggi: siamo sommersi da parole, ma forse non ci capiamo. Questo paradosso esplode quando siamo costretti, per nostra esclusiva scelta, a leggere una recensione su TripAdvisor & co. La riflessione, a mio modo di vedere le cose, però va oltre il mondo delle recensioni online e riflette un po’ i tempi che viviamo: in passato ci capivamo meglio? Probabilmente no e per fortuna indietro non si torna. Bisogna solo imparare a leggere e scrivere il presente.

 

Era il 26 settembre del 2017 e nel mio long-life blog pubblicavo un post a futura memoria dove riportavo un piccolissimo testo che a sua volta avevo scritto come contributo ad al libro “Web Marketing delle recensioni. Guida di sopravvivenza a TripAdvisor & co. per albergatori e ristoratori” scritto e curato da Francesco Tapinassi e Nicola Zoppi ed edito da Apogeo.

In realtà c’era poco di legato al turismo nel mio testo, ma c’era molto del presente che continuiamo a vivere anche ora tanto che nel post avevo scritto le parole sopra riportate.

Quel testo (che pubblico per intero qui di seguito) mi è tornato in mente in questi giorni da più angolature che tutte insieme hanno puntato a questo numero della newsletter che arriva un po’ in ritardo sulla tabella di marcia. Il punto per me attualmente è proprio ciò che dice Pirandello: “Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai!”.

Il senso della parola scritta (p.98)

Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sè, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai!
Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore.

Con l’esplosione della “parola scritta” ovvero il moltiplicarsi di “scritture orali” per merito della nascita prima e dello sviluppo poi dei media digitali si pone un problema non da poco che riguarda il modo in cui comunichiamo oggi: riusciamo a capire ciò che gli altri vogliono dirci e riusciamo a farci capire?

La domanda può presentare vari aspetti, alcuni anche filosofici, ma se rimaniamo con i piedi per terra e ci interroghiamo nello specifico: siamo sempre in grado di capire il messaggio della trentacinquesima email della giornata, il messaggio su WhatsAppnella chat di gruppo per decidere cosa regalare a un amico? Il tono dello status su Facebook? E quello su Twitter? E siamo sempre sicuri che gli altri capiscano noi?

Spesso no e infatti ricorriamo sempre più alle faccine per connotare emotivamente quel che diciamo. Per cercare di non essere fraintesi, per essere sicuri che stiamo scherzando, che siamo ironici o tristi, che ridiamo.

Qualche segnale d’allarme arriva quotidianamente quando via email, per esempio, chiediamo al collega o ad un cliente, una cosa o più cose e non ci viene data la risposta su una parte. Ignorata volontariamente nella migliore delle ipotesi.

Questi fenomeni non sono suffragati da dati statistici, non potrebbero esserlo.Ma fermiamoci un secondo: vi è capitato mai qualcosa di simile a quello descritto sopra? Molto probabilmente sì se quotidianamente siete esposti a una comunicazione “scritta-orale”, ovvero ad una scrittura parlata ogni giorno sui media sociali.

Ora trasportiamo questo scenario nel mondo delle recensioni, ovvero nel mondo dove ognuno di noi esprime un parere su una esperienza di cui è stato fruitore. In generale siamo nel terreno del soggettivo. In un futuro imminente le recensioni saranno molto probabilmente video (o solo audio), ma la sostanza delle cose non cambierà.

Abbiamo tutti dentro un mondo di cose” diceva Pirandello e questo influisce sempre e sempre lo farà sul nostro modo di “scrivere” e “leggere” le recensioni come accade per il resto del mondo che ci circonda.

Abbiamo tutti dentro un mondo di cose

Ritorno al futuro, cioè al 2024. Questo “mondo di cose”, in questi anni, è venuto fuori in tanti modi. Adesso è, almeno da queste parti, legato al mondo delle newsletter il cui parallelo con il fermento intorno ai blog di tanti anni fa mi pare forte e chiaro. Allora scrivevamo tanto, tantissimo sui blog e non so quanto ci leggevano. Non eravamo tantissimi, anzi eravamo una minoranza. Come una minoranza siamo ora che siamo certo di più, ma sempre meno rispetto al numero di persone che produce contenuti foto-video su Instagram o Tik Tok, giusto per evidenziare l’ovvio.

Adesso scriviamo tantissimo nelle newsletter sopratutto qui su questa piattaforma (per chi leggesse da fuori siamo su Substack) e non so quanto ci leggiamo e ci capiamo in realtà. I numeri sono sempre poco attendibili sul web (ah!): qualche giorno fa ho chiesto in giro (piattaforme diverse) quale fosse l’open rate della propria newsletter e quasi tutti sono sopra il 50%, che è tantissimo, ma l’open rate non da certezza di lettura. Ma non è questo il punto, il punto è che le newsletter le leggono soprattutto chi le fa, chi poi le rilancia, ci parla sopra, le fa girare. Almeno, ne sono convinto. Siamo una piccola nicchia nella nicchia, anche se ci piace tanto sbandierare i numeri degli iscritti alle nostre newsletter.

Con i giornali di carta accade una cosa simile, più o meno. A raccontarlo è Luca Sofri mentre dialogava con Mario Calabresi a Chora Vol. 1.

Sintetizzo brutalmente, il direttore che mai leggerà queste righe non me ne vorrà. Dice Sofri (senza virgolette, ripeto): è vero che i giornali di carta vendono meno, ma il loro potere di agenda continuano a dettarlo perché i giornali di carta vengono letti da tutte le redazioni radio, da tutte le altre redazioni dei tg e dei programmi di approfondimento, da chi fa info sul web ecc.

Ecco io penso che in scala molto più piccola questo accada anche nel mondo “indie” delle nostre newsletter, come dicevo prima. Fondamentalmente ce le leggiamo noi che le scriviamo e noi che le scriviamo poi le citiamo, diffondiamo, portando un po’ di attenzione all’interno del dibattito. Se poi mi fermo un attimo e alzo lo sguardo vedo che questo accade un po’ ovunque, basti pensare a Linkedin o alcuni pezzi del mondo di chi scrive libri (che poi fa parte del mondo di chi scrive le newsletter).

Lo ripeto: “Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai!”. Probabilmente neanche questa volta, in questa newsletter almeno.

ps. In ogni caso, ti consiglio di ascoltare il talk citato, vedrai che lo troverai interessante e ti farà ripensare ad un po’ delle cose scritte qui sopra, forse.